Buongiorno
Pongo la "semplice" questione in oggetto innanzi tutto riassumendo i due punti di vista:
La tradizione suggerisce di tenere aperto il cocchiume e le botti scolme. Il balsamico ha bisogno di contatto con l'aria in tutte le sue fasi e questa pratica lo assicura. Si é sempre fatto così e il risultato è oggettivamente ottimo.
Altri, come Giudici e Lemmetti nelle loro pubblicazioni dall'approccio scientifico e razionale (fin troppo? - si veda il libretto "L'aceto balsamico tradizionale"), suggeriscono di aumentare il più possibile in contatto tra legno e aceto tenendo più colmi i vaselli e il cocchiume chiuso, addirittura sigillato ermeticamente con stucco. Sintetizzando molto: il legno agisce da filtro molecolare selettivo lasciando passare le molecole più piccole come h2o e ossigeno molecolare e non tutte le altre che compongono il balsamico, le quali sono molto più grandi. Le sostanze assai volatili e peculiarmente aromatiche sono composti che non passano la barriera delle doghe, ma potrebbero sfuggire dal cocchiume aperto; chiudendolo si mantengono e si concentrano. A riprova di ciò non ci sarebbero notevoli differenze di evaporazione tra i due metodi.
Le mie considerazioni sparse e disordinate:
Vorrei evitare una presa di posizione preconcetta a favore della tradizione e apprezzo l'intenzione e il metodo scientifico applicato al balsamico dai due autori citati. Il balsamico è frutto tanto della tradizione quanto (e forse più?) di sperimentazione e innovazione (consiglio a questo proposito l'interessante lettura di "Il mito della memoria" di Magagnoli e Veratti).
Se é vero che gli acetobatteri hanno bisogno di ampia superficie del liquido, é altrettanto vero che la loro presenza in acetaia è spesso limitata alla badessa o alle botti più grandi (attività ormai residuale), qualora la loro densità lo permetta. Sopra ai nonricordoquanti brix non dovrebbe esserci alcuna attività batterica e non sarebbe necessaria una diretta superficie di contatto con l'aria.
Nel libro di Giudici e Lemmetti mi sembra un po' trascurata la parte relativa alle successive trasformazioni enzimatiche e chimico-fisiche, che comunque richiedono ossigeno, ma che sarebbe assicurato anche dalla traspirazione del legno, in maniera ancora maggiore che dal contatto diretto aria-aceto (!?!?)
Forse si potrebbe fare l'esperimento di chiudere il cocchiume ad una badessa e vedere se gli acetobatteri continuano a fare il loro lavoro..
Nella mia acetaia, posta in una vecchia casa di campagna, ho difficoltà a tenere una pulizia adeguata e i bestiolini fuori dalla finestra. Questo è stato uno dei principali motivi che l'anno scorso mi ha spinto a tappare tutti i barili, ad eccezione di quello di coda di ogni batteria. Così ho fatto anche presso altre batterie che seguo, dove magari l'ambiente è più pulibile ma io vi accedo solo una volta l'anno, o i proprietari sono particolarmente disordinati. O forse sono solo rimasto impressionato dal racconto di qualcuno che ha pescato un ratto da un barile durante i travasi...
Con questo scritto come avete capito non raggiungo punti fermi o teorie organiche ma lancio piuttosto uno spunto di discussione per scambiare punti di vista, idee e capirne di più..
Grazie a tutti e buone operazioni in acetaia!
Ciao, ti segnalo un'altra discussione che da tempo giace ignorata su questo forum... https://www.alvasel.com/forum/category/invecchiamento/botti-chiuse-futura-tradizione-o-esercizio-accademico
Discussione molto interessante, e per niente capziosa. Tradizione è sinonimo di esperienza. Partendo da questo presupposto , nutro anche io alcune perplessità in merito e solo poche certezze. Un dato di fatto (non ho però ancora trovato alcun testo di analisi preciso e sperimentale in tal senso) è quello della assai probabile assenza di attività batterica nelle botti "invecchiate", cioè con elevato grado zuccherino (naturale antibatterico) e totale assenza di alcool disciolto (base trofica per gli Acetobacter). La mia esperienza mi porta a concludere, per sommi capi, che le botti vanno tenute "aperte" almeno 6/8 anni dall'avvio per le batterie nuove; ciò proprio per favorire l'attività acetobatterica. E' poi assolutamente da tenere scolma (max 60% della sua capacità nominale) e il più possibile arieggiata la eventuale badessa (in assenza di badessa, la cosa andrebbe fatta anche con la prima botte e la seconda della batteria, almeno sempre nei primi anni, per poi mantenere "aperta" solo la prima). Con batterie mature, oltre il 12° anno e oltre, i ragionamenti del testo di Lemmetti&Giudici hanno certamente una validità teorica. Vero, il mantenimento della pulizia è un elemento da tenere fortemente in considerazione, e in questo senso oltre alle normali pezzuole a trama fitta un buon coperchio in legno, anche ermetico o quasi, può aiutare parecchio. Infine: la badessa è un laboratorio biochimico che ha assolutamente bisogno di ossigeno per funzionare (vedi note precedenti !!!): se la tappiamo creiamo l'ambiente perfetto per lo sviluppo di muffe e non acetifichiamo a dovere.
Mauro Chiesi